Il timor di Dio della lattasi – parte seconda

“Con la cultura nun se magna”

È il tormentone dell’intenso, mai banale, Come un gatto in tangenziale, pellicola italiana che conduce con profondità e grazia a piè pari nei sapori e nei dolori delle periferie romane.

Eppure, si potrebbe obiettare, con la cultura si mangia eccome, se nella società del merito chiunque può ottenere la borsa di studio e diventare avvocato o medico, e fare un giorno consulenze legali a tre zeri o, per esempio, guardie mediche a cento euro l’ora, grazie alle cooperative cui il Servizio Sanitario Nazionale appalta i turni, piuttosto che adeguare il salario degli assunti. Con la cultura si mangia sicuramente, se dei genitori blasonati lo hanno insegnato, e ripetuto come un mantra, a bordo del piccolo suv diretto alla scuola di tennis o di violino, boicottando distrattamente quel tale fidanzato proletario, tenero errore di gioventù.

Ma nelle periferie romane dove conduce il personaggio di una vibrante Paola Cortellesi, i papà possono essere detenuti, e le mamme troppo invischiate a contenere le sorelle affette da disturbi mentali, per mantenere i figli durante i lunghissimi percorsi accademici di Giurisprudenza o Medicina. Tra la gente che va al mare a «Coccia di Morto», l’odore acre del cumino filtra dalle finestre del condominio multietnico e s’impasta con l’amarezza senza titoli di un’umanità ammassata, sudata, chiassosa. In definitiva, di un’umanità di esclusi dalla storia.

E così, il pensiero balza, per curiosa associazione, dagli esclusi o dalle escluse di De Martino – tormentate da una Taranta che morde al pube, a lavoro nei campi, e condanna al ri-morso per sempre, in un vorticoso anniversario con l’insostenibilità della vita proletaria dei contadini meridionali (La terra del rimorso, 1961) – agli esclusi cantati in rap romanesco da Pippo Sowlo che bestemmiano se per la quindicesima volta gli salta il Fantacalcio per lutto. Scomodo e sincero fino all’assurdo, discutibile e tagliente, il poeta metropolitano sotto copertura «Pippo Sowlo», docente di filosofia nelle Scuole Superiori romane, ritrae quella specie di esclusi che ha esaurito sia i lenzuoli che le cit. di Vasco Rossi, a forza di appendere striscioni sui guardrail di Anagnina durante i rituali di sepoltura degli amici.

«Fidate te lo dico la statistica non mente
Più sei coatto e più amici te fanno l’incidente»

 

I protagonisti di Pippo Sowlo sono rimasti in nove, alla cena di classe delle medie, non già perché a Torre Gaia il manto stradale non è drenante – o non solo – ma forse anche perché a Torre Gaia, a ben guardare, con la cultura nun se magna.

Nel 2023, hanno conseguito una laurea il 12.8% dei figli di persone con licenza elementare o media, il 40% dei figli di diplomati, e il 67.5% di quei giovani che avevano almeno un genitore laureato. Un adulto laureato con prole ha avuto, nel 2023, una probabilità del 550% maggiore di incoronare a sua volta la figlia o il figlio rispetto a uno che ha la licenza elementare o media (Istat, 2023).

Con la cultura si mangia solo se si ha la pancia già piena e almeno un istruttore di pilates, o un pacchetto di sedute di linfodrenaggio addominale. E può accadere allora, in certe tristi circostanze, che si faccia tutto il giro della miseria fino quasi a giungere a un paradossale punto di partenza: la cultura c’è, la tavola imbandita pure, si viene proclamati con bacio accademico e non si manca mai una lezione di balletto, eppure si decide di «emaciarsi», di affamare il proprio corpo (Mara Selvini Palazzoli, 1963). Metro della potenza di una mente inclemente, il cibo torna a farsi notare, e spesso proprio in quelle case dove non si notava da generazioni perché ce n’era in abbondanza.

Se, infatti, il corpo-oggetto che vorrebbe la scienza positiva, sottomesso alla ragione che ordina e comanda (v. Il timor di Dio della lattasi – Parte prima), è mera invenzione logica secondo la prospettiva antropologica dell’incorporazione – giacché non esiste se non come soggetto e al contempo oggetto, mente e corpo assieme – questo corpo-oggetto vien quasi a esistere, e a soccombere della sua reificazione, in due casi particolari: lo sciopero della fame e l’anoressia mentale.

La logica neoliberista della performance a ogni costo ha prodotto una società in cui la tematizzazione del nutrimento inteso in senso più o meno metaforico – o la tematizzazione della sua mancanza – si limita alla dimensione materiale, alimentare o economica su tutte. I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura degli ospedali sono ricolmi di giovanissimi i cui genitori si affannano a ribadire che «non hanno fatto mai mancare nulla», e che “la mangiatoia bassa” sarebbe il vero problema di chi ha avuto sempre a portata di fauci un pasto pronto, parafrasando un detto della tradizione partenopea. E allora il nutrimento, l’azione di nutrirsi e non il cibo in sé, può divenire il segno tangibile, orrifico, della propria bestialità animale, se associato intimamente e inconsciamente, dal bambino che fu, a una soddisfazione corporea dissociata dal nutrimento affettivo (Mara Selvini Palazzoli, ibidem).

İbrahim Gökçek, Helin Bölek e Mustafa Koçak sono i nomi di tre artisti membri del gruppo musicale turco Grup Yorum, legato alla sinistra rivoluzionaria turca. Sono morti nel 2020 dopo 323, 228 e 288 giorni di sciopero della fame, iniziato per usare il proprio corpo, pacificamente, come arma contro le misure repressive e antidemocratiche del governo Erdoğan: detenzione di alcuni membri del gruppo e divieto di fare concerti.

Il nutrimento di cui hanno vissuto questi artisti per oltre 200 giorni è stato forse allora di una sostanza altra rispetto a quella che manca ai protagonisti di Pippo Sowlo, e altra ancora rispetto a quella che in molti casi è mancata alle persone con anoressia mentale.

Libertà delle idee e poesia; pane e asfalto drenante; cura, corrispondenza e contatto: l’umano ha bisogno di una quantità impressionante di fattori per sopravvivere e nutrirsi. La mancanza di ciascuna di questi può, allora, produrre quegli esclusi dalla storia che invero ha dipinto De Martino, rendendo loro immortalità.

Con l’erosione del welfare state accade però che quote sempre crescenti di costoro vengano riversate nei Servizi di Salute Mentale: “è tuo”, viene detto allo Psichiatra di guardia in Pronto Soccorso – con un misto di commiserazione, disprezzo e qualunquismo – di qualsiasi individualità connotata dalla cittadinanza come «deviante», divergente, e condotta senza meno nel più vicino Pronto Soccorso dalle Forze dell’Ordine.

Ma è davvero etico, logico e scientificamente sensato che di questi esclusi se ne occupi la psichiatria?

È forse etico somministrare un antidepressivo a una donna implicata in una relazione abusante e violenta, un antipsicotico a un uomo egiziano che lavora dalle 16:00 alle 8:00 in un vivaio per 3 euro l’ora che abbia ideazione suicidaria, o uno stabilizzatore dell’umore al personaggio di Paola Cortellesi? Per non parlare del feticcio della certificazione, “patente” da iettatore di pirandelliana memoria: se non ci si può liberare dello stigma, tanto vale fare del proprio status di paziente un mestiere.

Accettare la delega di controllo sociale che lo Stato di diritto fa alla psichiatria significa approvarla e alimentarla, ma gli operatori sono quotidianamente esposti a un feroce paradosso: in mancanza di un effettivo welfare state, l’angoscia di una delle molte Cortellesi, nel suo condominio-ghetto a San Basilio, è metro della frustrazione di ciascun operatore, della sua impotenza come professionista e del suo fallimento come cittadino.

E nella diffusa incapacità di rammentare la propria coscienza politica, che rende vulnerabili alla trappola del problema individuale e impedisce di leggere i fenomeni nella loro dimensione collettiva, gli operatori, così, stanno: ingialliti, appassiti, perennemente seduti, a decidere tra la frustrazione propria e il dolore altrui per portare a casa la pagnotta.

 

«Ancora non gli erano spuntati i baffi,
La sua giovane età è rimasta incollata all’ombra
Resisti, Berkin, c’è ancora molto al mattino,
Ancora molto al mattino, ancora molto, resisti […]

I tuoi sogni ti sono stati fatti appassire dentro
Un lupo affamato ti ha addentato il pane
Ti ha addentato il pane, addentato il pane»

 

Uyan Bekin’im, Grup Yorum

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