Dal Consumatore al Consum-Attore

Intervista di Maria Teresa Ciammaruconi a Giampiero Mazzocchi

Giampiero Mazzocchi ha studiato a Roma economia dell’ambiente e dello sviluppo, appassionandosi fin da subito alle materie agricole. Ha successivamente ottenuto un dottorato in Paesaggio e Ambiente all’Università Sapienza, con una tesi sulla trasformazione dei paesaggi agricoli urbani e peri-urbani nelle città francesi.

Dopo varie esperienze come consulente e in ambito accademico, oggi è ricercatore al CREA, dove si occupa di analisi dei sistemi agro-alimentari, di politiche del cibo, agricole e per lo sviluppo rurale. Svolge docenze in diverse università italiane e straniere ed è autore di numerosi articoli, pubblicazioni divulgative, report e capitoli di libri.

Dal 2018 coordina la segreteria della Rete Italiana Politiche Locali del Cibo, nella quale si occupa di attività di animazione, coordinamento di linee di attività, divulgazione scientifica e al largo pubblico, comunicazione e organizzazione di eventi.

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Giampiero, ormai qualunque consumatore – anche il più indifferente alle problematiche ambientali e alle politiche del cibo – soggiace al convincimento che nulla può sottrarlo agli ordini il Dio Consumo. Accetta con rassegnazione la passività del proprio ruolo che, se da una parte rimpingua le casse delle aziende più furbe (ne è anche consapevole), dall’altra fa risparmiare tempo e facilita gli acquisti un po’ sommari di chi ha già troppi pensieri nel destreggiarsi tra obblighi e fregature.
E poi: le offerte sono tante, 3 al prezzo di 2, e smaglianti sorrisi tra banchi colorati di televisiva memoria fanno il loro effetto.
Ma tu oggi mi parli di Consum-Attore e attivi così quella capacità di resilienza che forse può ancora suggerirci un’alternativa, o almeno un correttivo. Chi è il Consum-Attore?

Consum-Attore si pone in netto contrasto con una parola – consumatore – che esprime un rapporto con il cibo che è strettamente materialistico e depauperante. Ma andiamo con ordine. Nel contesto anglosassone ci si riferisce a concetti come pro-sumer, al posto di consumer, per definire una categoria di persone che scelgono cosa, dove, quando, e come mangiare non solamente in funzione di un mero appagamento edonistico personale, ma anche come un modo di sostenere un certo tipo di agricoltura sostenibile, scelte e modalità di acquisto del cibo più consapevoli, più informate, che combattono l’alienazione del supermercato con una modalità di scambio più umano e interessante. Ci sono esperienze come le Comunità che Supportano l’Agricoltura (CSA), che si stanno diffondendo anche in Italia – a Roma esiste Semi di Comunità – nelle quali il modello è semplice, funzionale, ma allo stesso tempo virtuoso per il benessere degli agricoltori, dei cittadini e dell’ambiente. In queste esperienze, i soci della CSA si riuniscono per chiedere a una tale azienda agricola, selezionata sulla base delle caratteristiche di sostenibilità ambientale e di equità lavorativa che propone, di produrre il loro cibo per tutta l’annata, a fronte di un “investimento”, che non è altro se non il pagamento in una soluzione degli acquisti che una famiglia farebbe durante l’anno. L’azienda si impegna a fornire le cassette di frutta, verdura, formaggi (e altro, volendo) per tutto l’anno, e in questo modo riesce a programmare con anticipo l’annata lavorativa e ad avere un ingresso monetario che permette di gestire le attività con maggiore serenità. Inizialmente può sembrare faticoso passare dall’essere un consumatore a un Consum-Attore, ma quando si inizia ci si rende conto che non è più possibile farne a meno!”

Se ho ben capito il Consum-Attore, nello svolgere appieno il suo ruolo, diventa parte attiva addirittura nella gestione del supermercato che diventa Supermercato Cooperativo…devo dire che suona bene!
Ma mi chiedo: come fa un qualunque informatico, un avvocato, un maestro, un elettricista, un qualunque disoccupato alla ricerca di occupazione – tanto per citare i mestieri più comuni – a contribuire personalmente alla gestione di un supermercato.
Come fa ad acquisire le competenze necessarie?

“I Supermercati Cooperativi nascono seguendo gli stessi principi che portano gruppi di Consum-Attori a mettere in piedi delle CSA, con la differenza che in questo caso si sceglie di appoggiarsi a un luogo fisico per gestire la logistica e la commercializzazione. Anche in questo caso, il modello è nato negli Stati Uniti, in particolare a Brooklin, dove dal 1973 è attiva Park Slope Food Coop. L’iniziativa si è allargata all’Europa e oggi si contano diverse esperienze in Francia, mentre in Italia per ora ne esiste solo una, a Bologna, Camilla L’Emporio di Comunità. Dal punto di vista delle competenze, generalmente ciascun socio può scegliere di svolgere i compiti che maggiormente si avvicinano alle proprie attività, è proprio questa la forza! Per rimanere alla tua domanda: un informatico sarebbe fondamentale per creare e gestire una piattaforma per gli ordini e gli acquisti, un avvocato potrebbe occuparsi degli aspetti amministrativi e burocratici, un maestro potrebbe organizzare momenti formativi e di educazione alimentare, un elettricista potrebbe fare la manutenzione dei frigoriferi e dell’impianto elettrico e così via. Ma si può partecipare al supermercato cooperativo anche svolgendo compiti con l’obiettivo di imparare, perché le cose di cui occuparsi sono tante e varie: dalla selezione dei produttori, al controllo qualità, fino alla scaffalatura e la cassa. Insomma, un Supermercato Cooperativo è un luogo per mangiare bene e sano, spesso risparmiando rispetto a un supermercato privato, e anche per mettere in opera i propri talenti o per imparare un modo diverso di occuparsi di un bene comune.”

In Italia non mi è mai capitato di imbattermi in una situazione di questo tipo. Ma tu mi dici che in Francia è abbastanza frequente, e addirittura è in atto anche un’altra sperimentazione che va sotto il titolo di C’est qui le patron. Di che si tratta?

C’est qui le patron (in Italia, La Marca del Consumatore) è un’esperienza un po’ diversa da quelle che ho citato prima, e abbastanza unica nel suo genere, ma che risponde sempre all’esigenza di ri-costruire rapporti più diretti fra produzione e consumo e riattivare quindi la capacità deliberativa dei Consum-Attori. Fonda i propri principi sul fatto che quasi sempre il basso costo nasconde lo sfruttamento dei lavoratori e una filiera poco etica. Il sito francese sostiene che i prodotti progettati dall’iniziativa hanno già raggiunto, a partire dalla sua fondazione nel 2015, già 16,2 milioni di consumatori in Francia, soprattutto grazie al successo delle vendite di latte (145 milioni di litri venduti, il 5% del mercato interno). Nella pratica, i soci dell’associazione, partecipando e rispondendo alle domande sulle caratteristiche che dovrebbero avere i prodotti, possono scegliere e decidere in maniera collettiva i criteri qualitativi dei prodotti, l’origine, il metodo di coltivazione e di allevamento, il tipo di confezione,
la giusta remunerazione al produttore e il prezzo finale di vendita consigliato. I produttori selezionati o le organizzazioni – che aderiscono ai valori espressi – si impegnano a realizzare i prodotti secondo i criteri definiti dall’associazione sulla base delle decisioni collettive e quindi riportati in appositi disciplinari. I prodotti sono venduti direttamente dai produttori a marchio La Marca del Consumatore nei canali della distribuzione moderna e tradizionale. Si tratta, quindi, di un’iniziativa che cerca di mettere i Consum-Attori nelle condizioni di poter rendere le proprie scelte di acquisto coerenti con i propri principi, garantendo che i prodotti rispettino le caratteristiche sociali, ambientali ed etiche prescelte. Io stesso ho partecipato alla definizione della passata di pomodoro della Marca del Consumatore. Oltre ad essere un sistema molto democratico, il sistema di espressione delle preferenze è molto chiaro e permette di comprendere in maniera precisa quali sono i fattori che “costruiscono” il prezzo finale di un prodotto: dalla qualità organolettica all’utilizzo oculato delle risorse, dal confezionamento alla qualità delle condizioni lavorative coinvolte dalla produzione alla vendita. Tutti questi elementi contribuiscono a formare il prezzo finale, ricordandoci che, se il prezzo di una passata di pomodoro è eccessivamente basso, sicuramente qualcuno o qualcosa sta pagando un “costo nascosto” al nostro posto: questo può essere l’ambiente e le risorse naturali o, come spesso e purtroppo accade, i lavoratori spogliati dei loro diritti e della loro dignità.”

Attualmente in Italia il supermercato incarna perfettamente quello che Marc Augé ha definito un non-luogo, il non-lieux: il luogo solitario del consumatore in transito, della frenesia individualistica nella società della surmodernità.
Tu ipotizzi addirittura uno spazio di condivisione, scambio, capace addirittura di orientare verso una sana alimentazione…
Ci devo credere?

“Anche se bisogna riconoscere la comodità di acquisto che i supermercati offrono, essi, fra casse automatiche e prodotti industriali, sono il luogo dove i sistemi alimentari globalizzati e digitalizzati trovano la loro massima espressione. Per rimanere ancorato alla tua domanda, se i supermercati sono dei non-luoghi, tutte le organizzazioni e i modelli che ho esposto sopra rappresentano espressioni del genius loci dei territori in cui il cibo viene prodotto, lavorato e trasformato. Infatti, dalle CSA fino ai supermercati cooperativi, queste realtà contribuiscono a restituire dignità ai piccoli agricoltori e alle micro-aziende agricole, che costituiscono l’ossatura dell’agricoltura italiana. Dare alle contadine e ai contadini una prospettiva di valorizzazione delle loro produzioni, restituire loro la possibilità di dialogare con i cittadini e di raccontare le loro storie e le loro sfide quotidiane, così come le loro pratiche agricole e i loro progressi, sono aspetti cruciali per la sopravvivenza di un mondo agricolo artigianale. I modelli di consumo odierni sono schiacciati da schemi e piattaforme iper-digitalizzati e astratti, in cui l’acquisto di un bene avviene seduti alla propria poltrona. Purtroppo, se questo può essere utile per alcune situazioni di impedimento o per alcuni prodotti (pensiamo a dei prodotti tecnologici, identici l’uno all’altro), questo non può e non dovrebbe essere applicato al cibo, che è materia viva, che ci nutre e che, in fondo, ci forma e ci plasma (siamo quello che mangiamo!). Carlo Petrini, riprendendo ed espandendo la famosa frase dell’ambientalista Wendel Berry, ci racconta come “mangiare è un atto politico”, intendendo così quali e quante implicazioni sociali, collettive e umane sono contenute nel cibo, inteso non solamente come il prodotto finito che finisce sulle nostre tavole, ma in senso più ampio come risultato di un sistema agricolo e artigianale. Quindi: sì, ci credo, perché le cose stanno cambiando. Le sfide sono tante, perché il sistema dominante è potente, ricco, ramificato, ma nuclei di trasformazione dei sistemi alimentari si stanno diffondendo in tutto il mondo a una velocità incredibile, e mi piace sapere che un giorno mio figlio potrà acquistare cibo in modo relazionale, cosciente, vibrante.”

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