Suono Naturale

E così stiamo andando verso la chiusura del numero tematico Promessa o Chimera.
Nell’editoriale avevamo fatto appello al mito per iniziare a porci domande sulla apparentabilità delle due dimensioni, sulla loro inconciliabilità o sui luoghi materiali e immateriali dentro cui vivono, convivono, contrastano, sollecitando il nostro auspicato terzo pensiero.
Ci hanno soccorso contributi valevolissimi che hanno interrogato l’arte, il mondo solidale, il cinema, la letteratura, la scienza, la filosofia e ora accogliamo con quello stupore che dispensava Orfeo suonando la sua lira, un contributo sul “suono naturale” nato, forse, come promessa all’uomo e trasformatosi in chimera.
Infatti grazie al suo canto Orfeo commosse Ade, Persefone, le Fiere e Cerbero che gli permisero di riportare a vita Euridice ma persa l’amata, colpevole la propria disobbedienza, il suono divenne la sua unica consolazione al punto da renderlo indifferente ad ogni richiamo della vita e per questo incorse nell’ira delle Menadi che lo uccisero spargendone i resti nel fiume Ebro.


Mariella De Santis

SUONO NATURALE

Forse il più grande paradigma di questa epoca, la dicotomia tra “naturale e artificiale”, due estremi che stanno perdendo chiarezza nei loro confini. Parlare di Intelligenza Artificiale presuppone che ve ne sia una Naturale, quindi precedente alla mano dell’uomo che decide di affidare a una macchina compiti e operazioni che non potrebbe compiere da solo.

Naturale, rimanda a una dimensione originaria, una ciclicità non frammentata dalla presenza umana, oltre l’umano, regolata da leggi universali.

L’esperienza sonora acustica, che possiamo definire “pura”, ovvero quella di un’oggetto che produce un’onda fisica, coinvolge tutti i nostri sensi, in primis l’udito, ma anche il corpo nella sua totalità. Il suono ha il potere di trasformare la realtà e di trasportarci in altre dimensioni.

Lo sciamano usa il tamburo per comunicare con gli altri mondi e il canto per connettersi con le forze della natura: animali, vegetali e minerali.

I miti della creazione ci riportano costantemente a una forza superiore, in un tempo ciclico che si misura in Ere del pianeta, dove nell’origine troviamo tutta l’essenza del suono naturale.

“Nell’istante in cui un Dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso…di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono.
Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale”[1]
.

Di alcuni oggetti sonori non si conosce l’origine, quindi non possiamo fare altro che rivolgerci ai miti per capirne la loro storia e funzione. Il Didjeridoo, il bastone di suono, degli aborigeni australiani, popolazione che abita da 50.000 anni il continente australiano, si racconta che sia nato dalla lotta tra gli umani e un gigante, egoista e pretenzioso. Quest’ultimo voleva sposare la ragazza di un villaggio e pretendeva tributi costanti in cibo e sottomissione da parte dei giovani della comunità. Allora venne catturato, ucciso, fatto a pezzi e sparso in ogni direzione. Dagli alberi che crebbero sopra i suoi resti un giorno si udì un canto, allora gli anziani decisero di tagliarli e farci degli strumenti, così con il suo canto melodioso il gigante si sarebbe fatto perdonare per il suo egoismo e per la sua avidità.

Il Didjeridoo o Yidaki, per le popolazioni dell’Arnhem Land, diventa quindi un oggetto in grado di comunicare con delle entità sovrannaturali o con le forze della natura, sia animali, totemiche, che mitologiche. Il Gigante, Gulbay Wara, testa matta, con la sua avidità aveva perso la strada per il ritorno all’origine, la sua dimensione sacra e stava mettendo a rischio l’equilibrio del mondo e della natura con la sua fame insaziabile. “Ubul e Gidju, la donna-sole e l’uomo-luna erano molto preoccupati per quanto stava accadendo sulla terra…continuando di questo passo la terra inaridirà e non darà più frutti” [2]. Il suono del Didjeridoo alimentato dai resti del suo corpo, tramite un sacrificio, ci riporta immediatamente all’origine della creazione, in una dimensione oltre la vita e la morte che gli Aborigeni chiamano Dreamtime, il tempo del sogno, che è sempre presente in un tempo eterno, oltre il tempo. Nei riti, i suoni e i ritmi evocano le fasi cicliche legate alla natura: le stagioni e le fasi della vita come la fertilità, la circoncisione, il ciclo mestruale.

Quindi l’esperienza sonora acustica, naturale, ci porta in una dimensione emotiva che riaccende in noi la reminiscenza di una dimensione eterna, sempre presente. Questa memoria viene rilevata anche dalle ricerche nel campo della fisica moderna che parla di vibrazione cosmica di fondo, tracce cosmiche dove cercare informazioni sulla formazione dell’Universo. Nella visione vedica, è il suono “Om” (Aum) che le Upaniṣad definiscono sillaba immortale e intrepida, si dice essere quello più vicino all’origine, che altrimenti non sapremmo come pronunciare.

Anche dal punto di vista della Fisica del Suono, le onde sonore, che abbiamo detto essere la materia costitutiva dell’universo, producono effetti di trasformazione sia emotiva che fisica. Pensiamo all’ascolto di uno strumento musicale dal vivo e alla rapidità con cui può trasformare la nostra condizione emotiva in gioia o tristezza e viceversa.

Le Campane Tibetane sono uno strumento legato alla pratica della meditazione e alla recitazione dei Sutra, si dice che i monaci un tempo le usassero anche “come ciotola per l’elemosina”[3]. Nella pratica del takuhatsu, la questua per il cibo, in giapponese, a volte chi era lontano da casa offriva una moneta che risuonando nell’oryoki, una ciotola di legno o di metallo povero, liberava il karma. Le leggende raccontano che alcune delle Campane Tibetane più antiche contengono dei metalli di origine meteoritica, per questo racchiudono il mistero del suono dell’universo. La loro vibrazione produce onde sonore ricche di suoni armonici, che trasmettono una informazione sonora che le nostre cellule del corpo conoscono perfettamente perché sono fatte della stessa materia vibratoria; se lo strumento ha delle qualità armoniche, diciamo contiene una scala di suoni ordinata in modo preciso e chiaro, allora il messaggio sonoro sarà immediato e di grande effetto.

Una prima reazione ad una esperienza sonora di questo tipo è il rilassamento profondo, erroneamente molti pensano che questo sia l’effetto principale, in realtà è solo l’inizio del viaggio.

In questo viaggio sonoro ci sono varie fasi, il rilassamento corrisponde ad una discesa nelle frequenze più lente del nostro sistema nervoso, le onde cerebrali Theta dai 4 ai 7,5Hz che corrispondono alla fase Rem e le onde Delta dai 1 ai 3,9Hz, che corrispondono al sonno senza sogni; una dimensione rigenerante delle cellule e del corpo che normalmente incontriamo nella natura incontaminata, ma che raramente incontriamo nella dimensione urbanizzata e cittadina. Proseguendo il viaggio, questa informazione sonora che arriva dalle campane al corpo, contiene un messaggio strutturato secondo una geometria ben precisa.

Il bouquet di suoni contenuti in una campana tibetana che, secondo gli studi di Albert Rabenstein del “Centro de Terapia de Sonido y Estudios Armonicos” di Buenos Aires, se contiene una scala di suoni in armonia tra loro chiamiamo Campana Armonica, ci ricorda che la dimensione armonica, l’architettura dell’universo e della natura, la percepiamo fisicamente come una condizione di benessere. Nonostante la forte attrattiva che il Caos esercita nelle nostre vite: nel campo artistico l’inconscio, il mistero, hanno sempre una forte valenza propulsiva e progettuale, l’essere umano è altrettanto naturalmente attratto dall’armonia. Sono in realtà due lati della stessa medaglia, armonia e disarmonia convivono perfettamente insieme, “In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto”[4]. Il messaggio armonico delle Campane Tibetane, portando l’informazione dell’origine che abbiamo detto essere vibrazione, invita a fare ordine nella materia secondo i principi della geometria sacra, come l’avevano scoperta i Pitagorici tracciando i primi teoremi sulla sabbia e interrogandosi sull’origine dell’universo. Dobbiamo a Pitagora la definizione della scala armonica della Legge dell’Ottava, su cui si basa la struttura della musica occidentale.

La struttura aurea, dalla sezione aurea: una sequenza infinita di rapporti armonici, è la stessa struttura di cui è composta la materia del mondo: abbiamo detto che tutto è nato da una vibrazione sonora, una frequenza di luce e materia che possiamo descrivere in onde sonore, quindi in rapporti matematici e fisici precisi, ebbene le cellule del corpo umano sono fatte della stessa materia. Nelle tradizioni sciamaniche si insegna che la materia è formata di elementi, gli stessi che troviamo nel nostro corpo. Tra questi, l’elemento acqua, è quello prevalente nel corpo umano come sul nostro pianeta. L’acqua è un grande trasmettitore di memorie e di suoni.

L’esperienza sonora corporea che avviene con quello che io chiamo il “Mandala Sonoro”, una esperienza sonora di gruppo, un bagno di suoni, ci riporta a memorie antiche, emozioni e esperienze fisiche passate o recenti che affiorano per essere risolte, per trovare una loro collocazione nell’ordine armonico delle cose. Anche i traumi a cui ci leghiamo hanno bisogno di essere abbandonati per tornare nel mistero e diventare humus come il Didjeridoo nato dal corpo del gigante ingordo. Allora il suono naturale, puro, forte del suo potere creativo, compie la trasformazione: le cellule, la struttura più profonda e vitale si riorganizzano seguendo la struttura sonora armonica e in accordo tra loro sacrificano delle parti di se stesse che non sono più necessarie, innescando un meccanismo di purificazione e catarsi, dove le memorie si fanno limpide e la mente-corpo entra in una condizione di Samādhi, risveglio e unione con la sorgente, dove tutto si fa chiarezza e visione.

Oggi fare una esperienza sonora acustica, cioè con vibrazioni sonore pure, non riprodotte da un apparecchio elettronico, è diventato un evento sempre più raro. La prima pratica acustica di cui dovremmo riappropriarci è il silenzio che precede l’ascolto, requisito fondamentale per produrre della buona musica. L’ascolto ci porta naturalmente all’empatia, crea spazio per il respiro e la comprensione dell’altro, soprattutto tramite l’ascolto possiamo sentirci parte di un tutto, di un universo che vibra in sintonia e ci ricorda che siamo una goccia nell’universo. Nel suono delle Campane Tibetane, mi perdo per ritrovarmi parte del tutto, dove il tutto diventa un solo suono, il suono dell’origine dell’universo.

NOTE

[1] Marius Schneider, La Musica Primitiva, Adelphi 1992

[2]Silvia Toschi, Medicina Aborigena, Edizioni Amrita 2022

[3]Randall E. Gray, Tibetan Singing Bowls an Historical Perspective, In the Light Pub. 1989

[4] Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri 1977

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