Sorvegliare e Curare

La difficile sfida della Tutela della Salute Mentale all’interno dell’Istituto Penale Minorile

Il tema della salute mentale dei minori autori di reato è indicato dai diversi Organismi che si occupano di tutela dei minori come di assoluta preminenza, ma risultano pochi i lavori in letteratura internazionale e  nel nostro Paese su questo argomento.

L’Autorità garante per l’infanzia e adolescenza (2017, 1) nella relazione sullo stato della salute mentale degli adolescenti afferma che “il disagio psichico e i disturbi psichiatrici sono particolarmente presenti nei minori autori di reato, i quali risultano anche essere tra coloro che meno ricevono risposte in questo ambito”.

Modifiche legislative e definizione di mandato

L’attività clinica di psichiatria dell’età evolutiva,  valutazione e presa in cura nei contesti residenziali della Giustizia minorile (Istituto Penale Minorile, IPM, Centro Prima Accoglienza, CPA e Comunità Ministeriale, CM) è iniziata nel 1999, quasi 10 anni prima del passaggio, nel 2008, delle competenze sulla salute dei minori ristretti dalle articolazioni del Ministero della Giustizia a quelle locali della sanità.

Nel primo decennio della nostra esperienza, il ruolo del medico NPI era di semplice consulente specialistico esterno ad un sistema che  assorbiva, al proprio interno,  funzioni miste di valutazione, cura, relazioni di aggiornamento periodiche alla Magistratura e costruzione del progetto di percorso penale.

Il  DPCM del 1/4/2008 stabilì il “il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie in materia di sanità penitenziaria”.  Fu quindi necessario ridefinire ruoli e mandati dell’operato dei sanitari, precisando scopi e modalità delle valutazioni e della collaborazione che fino a quel momento non vedevano chiara distinzione fra ambito clinico (diagnosi e cura del singolo e azioni preventive per la comunità) e ambito educativo-giuridico (azioni volte alla costruzione del percorso penale).

Questa nuova definizione stabilita dal DCPM ha messo in luce inevitabilmente aspetti di ambivalenza contenuti  nell’idea di attuare azioni volte alla cura ed alla promozione del benessere, in un contesto pensato per la pena, caratterizzato dalla restrizione e dalla privazione di libertà come quella, ad esempio, di comunicare all’esterno, avere un cellulare, ecc.

Un ambito di riflessione per la salute mentale nei contesti penali per l’età evolutiva sarebbe quello di come rendere efficace, per la ripresa di un normale percorso evolutivo, il percorso penale ed in particolare la fase di restrizione in IPM; Maggiolini ( 2- 2018) su questo afferma: “Gli interventi di tipo punitivo hanno dimostrato di avere  un effetto prevalentemente negativo, la scarsa efficacia degli interventi sulla delinquenza minorile è in gran parte dovuta proprio agli effetti negativi della detenzione.  … l’intervento penale con gli adolescenti può essere efficace nel ridurre le recidive soprattutto se orientato a valutare i fattori di rischio, a tener conto dei bisogni che sono alla base del reato e a costruire un’alleanza con il minore”.

Tutti questi aspetti, seppure di grande interesse, non sono però ambito di discussione o intervento per gli operatori della Sanità, perché rimangono in capo all’area della Giustizia.

Il nostro operato quindi, come sanitari, è stato e rimane, quello di definire in modo chiaro ambiti e modalità di intervento ed esercitare una azione di cura il cui riferimento è, per quanto possibile, il modello di intervento proposto alla popolazione generale  rispetto a  cui i minori arrestati hanno, in tema di salute, pari diritti.

Una prima scelta è stata quella di porre un discrimine fra azioni di cura (presa in carico) rivolte ai ragazzi con aspetti psicopatologici ed azioni preventive, di promozione del benessere, rivolte all’intera comunità.

E’ stato scelto, quindi, di non avviare per tutti i minori arrestati un percorso di sostegno psicologico, partendo dal punto di vista che il minore non è collocato in IPM per un disturbo psichico, ma per una violazione della legge a cui spesso sottostanno motivi sociali molto evidenti.

La scelta quindi è stata di non patologizzare, sanitarizzare tutti i ragazzi ristretti in IPM, prevedendo “di routine” per tutti un percorso psicologico di sostegno.

I ragazzi stessi confermano tale scelta rifiutando i colloqui se non ne avvertono il bisogno, temendo lo stigma anche per motivi culturali e d’altra parte questa scelta evita di utilizzare il clinico per fini strumentali, ossia per richiedere risposte concrete in merito a bisogni come ad esempio sigarette, colloqui con i parenti, documenti e/o informazioni sugli sviluppi del proprio percorso.

Valutazione, presa in cura, azioni preventive

La prima azione clinica svolta a favore di tutti i minori arrestati (in media attorno ai 100 l’anno) è una valutazione psicologica con due finalità:

  • evidenziare al Magistrato una eventuale condizione incompatibile con il regime di restrizione in IPM; i quadri che abbiamo individuato per questa indicazione sono il grave ritardo mentale e i disturbi dello spettro schizofrenico;
  • rilevare la presenza di una condizione di disturbo psicopatologico o sofferenza di particolare intensità che richiede una presa in carico terapeutica durante il periodo di restrizione; un esempio caratterizzante di questo ultimo aspetto è la rilevazione del rischio autolesivo-suicidario e la attivazione di uno specifico protocollo.

Questo screening è costituto da:

  • un colloquio clinico secondo una griglia strutturata che prende in esame aspetti anamnestici e sintomi psicopatologici di base,
  • la somministrazione della Scala sui comportamenti anormali YSR, quando la comprensione linguista lo consente, a volte anche avvalendosi della presenza di un mediatore,
  • la scala  CRIES aggiunta nel corso del tempo come  strumento elaborato per rilevare le condizioni di Disturbo post-traumatico e con l’attenzione alle diverse lingue dei giovani arrestati, di cui molti sono minori stranieri non accompagnati.

Dati di casistica

Abbiamo svolto in questi anni, tre diversi studi sulla casistica dei minori arrestati per quantificare, fra l’altro, la prevalenza di disturbi psichiatrici nella popolazione generale dei minori arrestati che varia da un minimo del 12-13% (due studi 2011-2015 su un totale di 343 ragazzi) ad un massimo del 38% (studio 2018, semestrale, su 50 ragazzi).

Per i minori in cui vengono rilevanti sintomi di tipo psicopatologico clinicamente significativi viene quindi avviato un percorso di presa in cura con colloqui clinici periodici – solitamente a cadenza quindicinale – a cura di una psicologa o del medico neuropsichiatra infantile.

Viene anche valutata l’eventuale necessità di una terapia farmacologica.

La terapia farmacologica è un altro ambito di interesse da approfondire per i molteplici aspetti etici, clinici ed istituzionali che solleva: molto spesso i ragazzi ristretti richiedono farmaci, ad esempio per dormire; la prescrizione diviene quindi fonte di potenziali conflitti, ma anche di un possibile confronto sul reale stato di malessere, sulla sua origine e sulle possibili strategie da attivare per affrontarlo.

Esemplificativo di una collaborazione sinergica fra operatori della Giustizia e della Sanità è, a questo proposito, il protocollo che abbiamo elaborato sulla somministrazione degli ipnotici che, oltre a prevedere una gradualità in intensità rispetto alle molecole prescritte, indica che il primo passo da attuare è fornire al ragazzo indicazioni di “igiene del sonno”, propedeutiche ad un eventuale farmaco e  prevede anche il coinvolgimento del personale educativo e di custodia dei ragazzi che riferiscono disturbi del sonno, per organizzare, facilitare e sostenere il loro impiego diurno.

Per i ragazzi presi in cura, infine, viene fornita agli operatori della Giustizia, una collaborazione nel progetto educativo e nel progetto di intervento che può seguire al periodo di restrizione in IPM.

I  quadri psicopatologici particolarmente problematici sono quelli che più facilmente spingono ad una collaborazione fra i due sistemi: un esempio è il caso di un giovane rumeno di 17 anni con  lieve ritardo cognitivo e importante discontrollo degli impulsi per il quale il limite educativo fornito dal contesto di restrizione non  poteva essere uno strumento efficace; per questo motivo è stato costruito un percorso  di trattamento prima all’interno dell’Istituto Penale Minorile e quindi, in collaborazione con il Magistrato di Sorveglianza,  con intervento educativo e formativo esterno, reso possibile dalla misura degli arresti domiciliari.

In realtà, frequentemente, anche questo aspetto della collaborazione evidenzia un tema critico: quello della elaborazione di progetti che, usciti dall’IPM,  offrano concrete possibilità di reinserimento sociale e lavorativo, garantendo una autonomia senza la quale è facile la ripresa di comportamenti illegali: in un nostro studio, infatti, (3 – Giamboni, 2019) emerge da un lato la positiva presenza di un desiderio di progettualità  nel 54% dei ragazzi, mentre, purtroppo solo il  16% di loro ha un progetto concreto di formazione o lavoro.

Nel corso degli anni è stato elaborato un modello di lavoro psicoterapico con i minori autori di reato (4, 5 Costa 2008 – 2010) : al di là degli elementi legati al quadro diagnostico abbiamo riscontrato elementi comuni che condizionano in modo significativo l’evoluzione della relazione diagnostico-terapeutica: diffidenza, scarsa autostima, fragilità narcisistica, immaturità  (scarso controllo degli impulsi ed intolleranza alla frustrazione).

Questi aspetti uniti a differenze linguistiche e culturali ci hanno portato nel tempo a verificare l’utilità di un approccio psicoterapico che si muove progressivamente verso una maggiore “profondità” dei temi trattabili nei colloqui: a partire dai temi pratici, è possibile giungere a trattare le dinamiche relazionali -sempre sul piano della realtà esterna-, grazie all’approfondirsi della relazione di fiducia dell’alleanza di lavoro, per arrivare, quindi, agli aspetti più propriamente legati alle emozioni, con un conseguente crescente valore introspettivo dei colloqui.

Le attività di prevenzione rivolte al benessere di tutti i minori (ed i giovani adulti) nel tempo hanno riguardato:

  • gli aspetti ambientali e la formazione del personale in particolare per la rilevazione dei segnali di rischio relativi agli agiti autolesivi,
  • la proposta di azioni rivolte alla comunità dei minori ristretti, come gruppi di discussione e gruppi di salute su tematiche specifiche come l’uso di sostanze, farmaci, la gestione del tempo, la regolazione delle emozioni, ecc.

L’avvio ed il proseguo regolare di questi gruppi è stato nel tempo ostacolato da diverse difficoltà organizzative, anche legate alla sicurezza, che richiamano il tema dell’ambiguità e difficoltà di attuare azioni per il benessere nei contesti penali ricordato all’inizio.

 

CONCLUSIONI

Le attività di salute mentale nei contesti penali risentono dell’ambiguità intrinseca nell’incontro fra due mandati (pena e cura); per questo da un lato è importante definire i rispettivi ambiti, dall’altro promuovere azioni congiunte a favore sia dei ragazzi con disturbi psicopatologici (che vanno dal 12% al 38%), sia di tipo preventivo per il benessere di tutti. L’aspetto sociale e l’offerta di occasioni concrete di reinserimento risulta l’elemento di maggiore importanza.

UOSD Psichiatria e Psicoterapia dell’Età Evolutiva, DSM-DP, AUSL di Bologna. 

Bibliografia
  1. Autorità garante per l’infanzia e adolescenza, documento di studio e proposta, 21 dicembre 2017 (http://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/salute-mentale-adolescenti.pdf)
  2. A. Maggiolini, A. Leoni, M. Picasso, Efficacia dell’intervento penale con gli adolescenti, Rivista Minotauro, settembre 2018, I, 8, pp.  81-97.
  3. Giamboni L., Minori autori di reato: aspetti psicopatologici far problemi di sviluppo, fattori ambientali e familiari, Sestante, n. 7, 2019 pp. 73-76.
  4. Costa S., Il percorso penale minorile, fra opportunità e restrizione, Rivista sperimentale di freniatria, salute mentale e sicurezza sociale, vol. CXXXII n.3/2008.
  5. Costa S., Minori stranieri non accompagnati: strumenti e prospettive per la presa in carico. Riabilitazione psicosociale nell’infanzia e nell’adolescenza, pp. 357-376, Maggioli Editore, 2010.

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