L’ospedale ha bisogno di giocattoli poetici

L’esperienza dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze

Fino dall’inizio degli anni ’90 del novecento nell’Ospedale Pediatrico Meyer esisteva una ludoteca. Anzi, la creazione di uno spazio apposito nel quale i bambini e le loro famiglie potevano trovare una continuità con le loro normali esperienze di vita quotidiana, dal giocare al leggere, dal divertirsi al preoccuparsi, è da considerarsi un’esperienza pilota a livello nazionale. Sorretta da un solido progetto educativo (*) e forte dei tanti studi scientifici tesi a comprovare le funzioni del giocare quale fattore fondamentale per promuovere il benessere del bambino ospedalizzato – la Ludoteca si fece ben presto luogo capace di evidenziarsi come imprescindibile presenza all’interno dell’ospedale, come riferimento pedagogico per il personale ospedaliero, nonché di diventare emblema della riappropriazione da parte del bambino in cura di una dimensione domestica, giocosa, schietta e legittimamente infantile.

Un luogo, dunque, non solo di svago e distraente, bensì un luogo dove il bambino, con i mezzi espressivi che gli sono più congeniali, potesse vivere e significare le proprie turbolenze emotive grazie alle tante declinazioni del gioco e del giocare; giocare nel senso più winnicottiano del termine che significa soprattutto garantire lo spazio dell’illusione con la “messa in gioco” (in-lusio) della fantasia.

Alessandro, anni 6

Questo non è un ospedale qui si gioca pure!”

Nel 2007, con il trasferimento del Meyer sulle colline medicee, la Ludoteca è diventata un grande spazio di circa 400 metri quadrati – leggero e trasparente, immerso nel verde e volutamente contiguo ai reparti di degenza – sul quale si affaccia una sorta di piccolo soppalco adibito a Biblioteca.

Un tale ricco progetto è stato ideato finanziato e realizzato, sino dagli inizi, dalla stessa Fondazione Meyer, le cui risorse economiche da un lato hanno permesso di poter garantire la continuità delle tante attività di sostegno alla cura (clown, musica, pet-therapy, ludoteca) dall’altro si sono fatte garanti della costante attenzione dedicata ai molteplici aspetti dell’“accoglienza” mai disgiunti dalla dimensione artistica, estetica e quindi culturale in senso lato.

Successivamente, di concerto fra l’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer, nel contesto del suo attuale forte impegno per l’umanizzazione delle cure, e la stessa Fondazione Meyer si è avviato il progetto per una più marcata modellizzazione delle attività che si programmano e svolgono in Ludoteca e in Biblioteca favorendone una sempre maggiore contiguità e prevedendone una progressiva fusione (**).

E’ nata così la LudoBiblio, un nome che ha il senso di segnalare in maniera forte l’inscindibilità dei contenuti e delle finalità di questi due spazi. “Il gioco al centro”, dunque, per impostare uno spazio dove far dialogare la lettura, l’animazione, il teatro, la pittura, la conoscenza scientifica, naturalistica, con le molteplici declinazioni del gioco stesso. Roberto Farné, caldeggiando riflessioni in merito, parla di una “casa della cultura”, un unicum, dove l’idea forte è quella di pensare queste due realtà (ludoteca e biblioteca) come luoghi dedicati all’infanzia, in un contesto definito da arte e bellezza.

Al cuore di tutte le iniziative l’obiettivo di trasformare la malattia e l’ospedalizzazione in occasioni di crescita e la convinzione di come le plurime correlazioni fra leggere e giocare permettano anche al bambino malato, anche gravemente malato, di rientrare nella propria infanzia e di potersi confrontare con la realtà di quanto gli sta accadendo, facendovi fronte grazie al coinvolgimento affettivo e alla fiducia nelle risorse che spazi di comunità possono attivare nei bambini e negli adulti a loro vicini.

Con questi presupposti la LudoBiblio si presenta come una discesa in campo della fantasia, una piazza giocosa dove si intessono saperi e competenze.

“CON CURA E CON PASSIONE”

Il motto “con cura e con passione” è sicuramente la bussola che, al Meyer, orienta la sensibilità di quanti, pur con le proprie specifiche di genere, siano impegnati per trasformare l’ospedale da luogo di cura a luogo del prendersi cura, o come si trova spesso definito in letteratura: child and family centered care.

Peraltro le parole “cura” e “passione” caratterizzano l’Ospedale Meyer sino dalle sue origini. Un atto d’amore che la storia racconta con contorni quasi di fiaba. Fu, infatti, in seguito alla morte prematura della sua amata prima moglie, Anna Fitz Gerald, che l’anno successivo, nel 1884, il banchiere filantropo pietroburghese, di origini prussiane, Giovanni Meyer si accinse a esaudire l’ultimo desiderio di Anna: che Firenze avesse un ospedale per “un certo numero di bambini malati, specialmente quelli con deformità congenite o acquisite”.

L’ospedale dei bambini nasce, su progettazione dell’architetto Giacomo Roster, in una Firenze illuminata, in pieno fermento post-unitario, dove medici e architetti viaggiano, si confrontano, importano ed esportano modelli. A Londra era stato istituito, nel 1852, l’Hospital for Sick Children in Great Ormond Street mentre a Parigi l’Hôpital des Enfants Malades era stato fondato addirittura nel 1802. Sebbene, a ben guardare, anche a Firenze, in quello stesso anno il re d’Etruria, Ludovico I, aveva voluto presso lo “Spedale degli Innocenti” – prima in Europa – una Cattedra di Pediatria. Un’esperienza di breve durata eppure capace di innescare un dibattito battagliero e un meccanismo irreversibile per l’affermazione della branca specialistica.

Gli anni, sul finire dell’ottocento, furono gli anni del movimento volto alla “promozione del benessere del bambino”; un movimento che coinvolse persino gli Stati Uniti in un progetto di “alfabetizzazione sanitaria”, di “igiene pedagogica”, rivolto soprattutto al popolo. Circolano le prime riviste specializzate quali Il Giornale della società italiana di Igiene, la Rivista d’Igiene e Sanità Pubblica. Si avvia, per la Sonzogno, la collana dedicata all’igiene popolare mentre prende forma Il bambino, rivista di divulgazione medico-pediatrica e a Vicenza esce, nel 1899, Il giornale di igiene infantile destinato alle madri italiane.

I medici iniziavano così a fare i conti con l’importanza dell’ambiente, con il fatto, come scrive Ellen Key, che “la miseria è il più micidiale dei microbi. Madri esauste, padri ubriaconi e viziosi, pessimi alloggi…lavoro eccessivo fino dai primi anni, vitto scarso e malattie ereditarie, specialmente sifilitiche: ecco la triste storia narrataci da quei corpicini scarni, che l’ospedale può sovente guarire da malattie momentanee, ma non salvare dalle conseguenze dell’ambiente deleterio in cui sono nati e cresciuti”.

E lo stesso trattato del medico moscovita Aleksandr Eduardovich Hippium, Il medico dei fanciulli come educatore, ben si presta a intrecciarsi con lo sbocciare dell’interesse verso l’educazione del bambino sulla scia della celebre frase di D’Azelio “l’Italia è fatta, ora occorre fare gli italiani”.

L’editoria si fa allora compagna d’avventura nella conquista della scena da parte di intere legioni di bambini e ragazzini analfabeti, adulti in miniatura, sans papier ante litteram. Firenze è al centro di un tale, straordinario, cambiamento di passo; lo è con la “biblioteca Bemporad per i ragazzi per le scuole elementari”, con la libreria Felice Paggi e la “Biblioteca scolastica” curata da Carlo Lorenzini (futuro Collodi) e arricchita dai suoi libri di lettura Giannettino (1877) e Minuzzolo (1878). Bambini e ragazzini incominciano ad acquistare una visibilità e per loro, accanto alle collane scolastiche, alle letture con intenti didattici o impregnate di moralismo patriottico, si allineano riviste curiose, Giornale per i bambini, Il giornalino della domenica, ed escono Cuore prima, Gian Burrasca dopo, e Pinocchio che con l’Ospedale Anna Meyer, familiarmente detto “l’Ospedalino dei bambini”, avviò la sua vicenda editoriale.

In ogni caso, per comprendere il mutamento della visione predominante dell’infanzia, uno sguardo va rivolto alla scrittrice fiorentina Ida Baccini che, nel 1875, con il suo Memorie di un Pulcino, fra paure, emozioni e affetti provati dal minuscolo protagonista, apre alla riflessione della trascurata, sottovalutata, vita mentale del bambino.

Centrali in tal senso gli studi pionieristici di osservazione infantile curati da Darwin sul figlioletto William Erasmus, quelli successivi di Jean Piaget, di Lev Vygotskij, di Maria Montessori. Imprescindibili poi le concettualizzazioni di Sigmund Freud che opereranno un ribaltamento dalla visione di un’infanzia afasica a un’infanzia osservata con attenzione e considerata come privilegiata porta d’accesso all’accadere della vita psichica.

Competenti quanto fantasticoni e sentimentali i bambini divengono ben presto “soggetti” e, in quanto tali, soggetti anche di diritti. Basti pensare alle ricerche sull’attaccamento e i legami affettivi condotte da John Bowlby e James Robertson e confluite, nel 1959, nella pubblicazione del rapporto Platt (Il benessere dei bambini in ospedale). A quel punto si ritenne indispensabile che le madri non fossero separate dai loro bambini ospedalizzati, così come si invitava a non trascurare l’importanza della formazione del personale ospedaliero da coinvolgere in quel percorso oggi definito come “umanizzazione delle cure”.

Il diritto alla salute per i bambini acquista una posizione centrale, nel 1988, con la carta di Leida divenuta nel 1993 la carta di EACH (European Association for Children in Hospital). Qui, proprio a partire dal riconoscimento dei bisogni specifici del bambino stesso e associando a ciascuno di tali bisogni un diritto, si sancisce il passaggio dall’ottica ottocentesca della tutela a quella della cura.

POESIA IN GIOCO

Rendere i “Diritti dei Bambini in Ospedale” fruibili, maneggevoli e comprensibili anche ai bambini, soprattutto ai bambini, è stato un compito che il Meyer ha assunto per sé. Così, nel 2004, prese avvio il progetto, ideato e coordinato da Carlo Barburini allora presidente della Fondazione Meyer, che si concluse con la pubblicazione del delizioso albo illustrato da Sophie Fatus e “rimato” da Anna Sarfatti per la casa editrice Fatatrac. Guai a chi mi chiama passerotto. I diritti dei bambini in ospedale, si presenta ancora oggi come un insuperato divertente rimario dove ogni particolare articolo della “Carta dei Diritti dei bambini in Ospedale” viene ricondotto a filastrocca.

Si scelse, vale a dire, per parlare ai bambini un linguaggio poetico, e non tanto perché il bambino sia naturalmente “poeta” quanto perché naturalmente è portato al gioco e alla meraviglia, i migliori compagni di viaggio per avvicinarsi alla poesia. La psicoanalista Dina Vallino era persuasa che la cultura dei bambini – sostenuta da una forma di pensiero analogico e da un linguaggio fortemente metaforico – fosse una “cultura poetica” consapevole poi, la psicoanalista milanese, come la sofferenza si esprimesse più facilmente in un linguaggio poetico piuttosto che razionale.

L’ospedale è popolato da bambini invasi da vicende che minano il sentimento di continuità della propria esistenza; “pollicini” che si perdono nei boschi di percorsi terapeutici spesso dolorosi e per loro incomprensibili, che incontrano “mostri” dai quali non sanno come difendersi, che di giorno come di notte possono temere di essere travolti da emozioni troppo forti da gestire o anche solo da esprimere attraverso le parole.

La poesia “è la lingua di chi non sa parlare” ha scritto Chandra Livia Candiani. E’ conoscenza e passione. I bambini – ha aggiunto la poetessa abituata a far parlare il silenzio – amano le parole “fulminanti” “vive” della poesia, e “non è vero che non vogliono sentire parlare dei sentimenti più complicati o più difficili o che fanno più paura. Per loro la possibilità di esprimersi e di esprimerli sta nella parola poetica”.

Certo Le rime non “Cacciano i mali”, ha detto  Bruno Tognolini – inaugurando nel settembre del 2019, in LudoBiblio, il progetto poetare in ospedale pediatrico “Il mio letto è una nave” –  non lo cacciano, “ma… però…”. Ed è in questo spazio garbato, in questa sospensione di senso, in questi “ma”…, in questi ”però”… che il progetto del “poetare” si propone non tanto e non solo come attività di sostegno alla cura del bambino malato, ospedalizzato, quanto come peculiare azione integrante della cura stessa.

Perché rime e poesie, filastrocche e nenie, conte e contine, alleggeriscono, divertono, e divertire ha la stessa radice di divergere, ha osservato ancora Bruno Tognolini.

Se durante uno stato di malattia il pensiero procede lungo un binario senza scambi, fissandosi senza “diversivi” sulla propria malattia o sul proprio malanno come pure su sentimenti turbolenti o altro ancora, sarà invece grazie a una rima, a una poesia, a una filastrocca, che il pensiero stesso slitterà, inizierà a divergere, a sollecitare una differente, altra, forma di pensiero: il pensiero analogico. Una funzione precipua del linguaggio poetico è, infatti, quella di generare emozioni capaci di tradursi in sentimenti e in idee, diversi da quelli del senso letterale.

Al contrario della scienza, che spesso dà l’illusione di capire ciò che in realtà non capiamo affatto, “l’arte ci aiuta a conoscere la vita senza privarla del suo mistero”.

Questo diceva William Steig nel suo discorso per l’assegnazione della Caldecott Medal nel 1970. Una visione che per alcuni aspetti ribalta l’idea di conoscenza basata su un approccio alla realtà logico-razionale e ne propone invece uno poetico-emozionale: sentire il mondo prima che comprenderlo.

Partiamo, allora, dal presupposto che la poesia muova l’animo, susciti emozioni, sentimenti, fantasie, sollecitando ulteriori significati delle parole. Rime e poesie sono “attrezzi dell’anima”, come li ha definiti Giusi Quarenghi, nutrono l’immaginario, legano fra loro la meraviglia con la conoscenza, aprono le porte al gioco, alla leggerezza e infine al conforto.

I bambini, scriveva Gianni Rodari, sanno costruire “giocattoli poetici”, sanno che la poesia è anche nei gesti quotidiani, nelle piccole cose e la trovano persino guardando sotto il letto come suggerisce nel suo straordinario albo illustrato Ruth Krauss. “Guarda e apri le braccia come un pino… Cadi come la pioggia… Siedi al sole e splendi” e allora – sulla scia di filastrocche e ninne nanne, di voci (***) e musiche che accompagnano in ospedale, di reparto in reparto, all’ora del “fare la nanna” – ecco che letti e lettini di tanti piccoli ricoverati possono trasformarsi, come in un paesaggio onirico, surreale, in piccole navi e “nel buio salpare”. E navigheranno, sulla scia dei versi di Robert Luis Stevenson l’autore de L’Isola del tesoro, verso terre che allargano l’orizzonte, in “terre del copriletto” dove flotte veleggiano tra le lenzuola e abbattono giganti e paure; in terre oltre la “terra del Sonno” e del sogno dove il letto, appunto, si fa nave e compie lunghe esplorazioni notturne verso le isole della fantasia, dell’illusione, del gioco; della poesia e della speranza.

NOTE

(*)  Il progetto educativo della LudoBiblio dell’Ospedale Meyer è promosso e sostenuto dalla Fondazione Anna Meyer. Gli educatori della cooperativa Arca in servizio presso la LudoBiblio, che hanno il loro responsabile in Claudio Micheli, sono professionisti con competenze specifiche e si integrano con l’equipe curante all’interno del setting ospedaliero.

( **) Il progetto della LudoBiblio è coordinato dalla Direzione Scientifica composta da Maria Baiada – responsabile dei diritti dei bambini in ospedale per la Fondazione Anna Meyer,  Daniela Elettra Papini – responsabile dell’ Organizzazione dei processi di partecipazione, comunicazione ed umanizzazione delle cure pediatriche –  per l’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer nonché la sottoscritta, Manuela Trinci, quale expertise scientifico.

(***) Le letture che sono previste sia per la “Buonanotte al Meyer” sia in alcuni reparti e sale di attesa si devono ai volontari dell’Associazione Helios.

 

BIBLIOGRAFIA

Ringrazio Alessandro Benedetti, Segretario Generale della Fondazione Anna Meyer e Alberto Zanobini, Direttore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer, per le preziose indicazioni bibliografiche e gli spunti di riflessione che mi hanno dato.

Cambi. I medici-igienisti e l’infanzia controllo del corpo e ideologia borghese in F.Cambi, S. Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’Italia liberale, La Nuova Italia, Firenze 1988.

L.C. Candiani. Il silenzio è cosa viva. Einaudi. Torino 2018.

Carminati. Fare poesia con voce, corpo, mente e sguardo. Lapis, Roma 2019.

Caso. Bambini in ospedale. Per una pedagogia della cura. Anicia, Roma 2015.

Diana. Meyer. Le radici e l’orizzonte. Giunti, Firenze 2008.

Gotti. Come un giardino. Leggere la poesia ai bambini. Einaudi, Torino 2021.

Hippius. Il medico dei fanciulli come educatore. Manuale pratico per genitori medici e maestri. Laterza & Figli, Bari 1914.

Key. Il secolo dei fanciulli. F.lli Bocca, Torino 1906.

Krauss S. Ruzzier. Guarda sotto il letto se c’è della poesia. Topipittori, Milano 2020.

Monterisi – P. Parigi. 1884-1984 Cento anni di vita dell’Ospedale Infantile “Anna Meyer” di Firenze. Le Monnier, Firenze 1984.

Robertson. Bambini in ospedale. Feltrinelli, Milano 1973.

L. Stevenson S. Mulazzani. Nella terra dei sogni. Rizzoli, Milano 2012.

Trinci. ”Buonanotte al Meyer” in Liber n°118, Giugno 2018.

Trinci. “Dire, fare, poetare” in Liber n° 127, luglio settembre 2020.

Trinci. “Guai a chi mi chiama passerotto” L’esperienza della LudoBiblio nell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. Di prossima pubblicazione nel volume Spazi e forme della lettura. Tra scuola, biblioteca e territorio, curato da Flavia Bacchetti per l’Editore Pacini di Pisa.

Trisciuzzi. Il mito dell’infanzia. Dall’immaginario collettivo all’immagine scientifica. Liguori, Napoli 1990.

Ulivieri. La donna e l’infanzia: l’ambiguità dei sentimenti e delle pratiche, in F.Cambi S. Ulivieri op.cit.

Vallino. Raccontami una storia. Borla, Roma 1998.

W. Winnicott. Gioco e realtà. Armando, Roma 1974.

W. Winnicott. Sulla natura umana. Cortina, Milano 1989.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ultimi articoli

Rubrica quasi del maggio

È primavera e la mimosa non è arrivata a vederla. È primavera ma copiosi...

“PUNTO E VIRGOLA” – L’audiolibro

Il racconto “Punto e virgola” è stato scritto nell’ambito del progetto “Parola ai bambini: progettare l’antidoto alla...

Con-vivere

"CON-VIVERE - Luoghi e forme della vita comunitaria" a cura di Raffaele Bracalenti e Mariella De Santis “Con-vivere”, è...

Affrontare la violenza con un libro

I libri per l'infanzia hanno un grande spettro di argomenti trattati. Dal momento che...

Un corpo a corpo con il dolore

Paolo Milone, L’arte di legare le persone, Einaudi 2021 Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza, Mondadori, 2020 Pubblicati...