“Classico è colui che ha la sensazione di vivere sotto lo stesso sole che illuminò e scaldò Omero” (Goethe)
Si celebra quest’anno il bicentenario della data d’inizio della rivoluzione greca del 1821 che portò, nel giro di circa dieci anni, all’indipendenza dall’impero ottomano. La rivoluzione ebbe delle caratteristiche peculiari a cui vogliamo brevemente accennare. La scommessa di questo breve scritto è se essa possa esserci utile per interrogare i tempi attuali, così lontani, almeno sembra, da qualunque fervore rivoluzionario. L’evento non è così lontano da noi né temporalmente né geograficamente ma appare come appartenere a un tempo che non esiste più, al punto da essere quasi dimenticato.
La Grecia del primo Ottocento era una terra di sangue e di povertà, umiliata da circa quattrocento anni di dominazione ottomana. Nello stesso tempo, sembrava riaccendersi qualcosa di quello spirito mitopoietico che aveva caratterizzato il pensiero greco dell’antichità, espresso attraverso varie forme dell’arte come la poesia, la musica, il teatro. Vari elementi contribuirono a questo risveglio. Il forte senso di continuità con il passato innanzitutto, veicolato dalla lingua pressoché immutata dall’antichità e dal radicato sentimento di una comune appartenenza culturale. L’eredità del passato, sebbene non direttamente fruibile come agente d’identificazione con gli antichi padri, era sullo sfondo e cominciava ad animarsi. Nonostante ciò, mancava ancora qualcosa. Ciò che sembra essere stato determinante fu l’incontro tra l’aspirazione greca all’indipendenza dall’odiato popolo invasore e l’aspirazione alle nuove istanze di libertà e democrazia sorte sull’onda della rivoluzione francese e prima ancora di quella americana. La combinazione di questi fattori associata alla diffusione dei valori del movimento romantico che andava diffondendosi in tutta Europa quali quello di patria, nazione, recupero del passato fu incendiaria. La Grecia intercettò questi movimenti fuori dai suoi confini che legittimavano pienamente la sua aspirazione e, per un movimento simmetrico e complementare, fu eletta a simbolo ideale delle nuove speranze dei popoli europei. Tale elezione, sulla base di ciò che l’Ellade antica offriva come supporto all’ideale romantico della nostalgia dell’arcaico e dell’innocenza, fece della Grecia il simbolo dell’infanzia d’Europa, luogo del contatto autentico con la realtà dei sentimenti e delle passioni. Tale elezione ideale non rimase astratta e nostalgica ma si tradusse in azioni concrete e organizzate. Molti importanti paesi si adoperarono per sorreggere i moti rivoluzionari greci; ovunque nascevano comitati di raccolta fondi sulla base del movimento di solidarietà alla causa per l’indipendenza greca. Fu l’unica rivoluzione ad essere appoggiata dai governi di grandi nazioni come Francia e Inghilterra. Anche l’intervento della Russia fu determinante per il suo successo. Fu certamente fondamentale inoltre il supporto dei greci della diaspora presenti e attivi nei circoli intellettuali europei che cercavano di riappropriarsi della loro tradizione stabilendo una linea di continuità con il mondo antico e bizantino. Anche la Chiesa Greca Ortodossa svolse un ruolo decisivo: professare questa fede significava aderire ad un sistema di ideologia nazionale intesa a conservare l’unicità greca e rapportarla al valore dell’indipendenza.
Un chiasma di condizioni irripetibili si era andato delineando: se, da una parte, la Grecia riscopriva il senso di orgoglio e di identità nazionale sotto la spinta degli ideali democratici della rivoluzione francese e dei valori di patria e nazione del Romanticismo, la storia greca si offriva all’Europa come incarnazione vivente dell’ideale di libertà e democrazia che si era affermato nel passato. Il richiamo al passato è costante: Dionisos Solomos, autore dell’inno alla libertà, incita alla lotta richiamandosi all’ideale delle “ossa sacre degli Elleni”. (nota 1) In sostanza, mentre i vari Stati si davano una nuova costituzione ricollegandosi alla tradizione ellenica, la Grecia moderna riscopriva la sua identità attraverso i nuovi ideali democratici della modernità;
Nota 1
Ti riconosco dal taglio
terribile della tua spada,
ti riconosco dal tuo volto
che con foga definisce la terra.
Risollevata dalle ossa
sacre dei Greci,
e valorosa come prima,
ave, o ave, libertà.
(Dionisos Solomos, Inno alla libertà)
Il motto della rivoluzione: ελευθερία ή θάνατος (libertà o morte)
Il nesso tra rivoluzione e libertà è sempre stato considerato costitutivo del paradigma classico dei movimenti rivoluzionari. Nel discorso del 1793, “Sur le sens du mot Revolutionnaire”, Condorcet afferma che la parola rivoluzionario non si applica che alle rivoluzioni che hanno la libertà come oggetto. L’alternativa “libertà o morte” esprime un’antinomia radicale che non consente alcun compromesso, alcuna conciliazione.
Ma di che tipo di libertà parliamo? È possibile affermare che è proprio sul modo diverso d’intendere la libertà dell’individuo sociale che si gioca il passaggio tra rivoluzioni antiche e moderne. In un celeberrimo e appassionato discorso tenuto all’Athenee Royal nel 1819, Benjamin Constant mostrò che la libertà dei moderni è fondamentalmente libertà dell’individuo privato: “il fine dei moderni è la sicurezza dei godimenti privati: ed essi chiamano libertà le garanzia accordate dalle istituzioni a questi godimenti”. Il fine degli antichi era la divisione del potere sociale fra tutti i cittadini di una stessa patria: era questo che essi chiamavano libertà, l’esercizio collettivo e diretto delle funzioni dell’intera sovranità̀. L’Ellade antica si prestava così a incarnare un’altra idea di libertà che giungeva dal passato le cui radici affondavano nel sentimento d’appartenenza ad una medesima comunità politica e in quello del proprio valore personale attraverso il riconoscimento offerto dalla collettività.
Cosa ne è oggi di questa tensione ideale che sembra essere alla base di qualunque movimento di rottura e rovesciamento dell’ordine costituito? Ogni pratica rivoluzionaria sembra aver bisogno di una progettazione utopica a sostegno del sangue che necessariamente verrà versato. La rivoluzione greca, come altre rivoluzioni basate su un codice antico, sembra fondere l’utopia del cambiamento con il radicamento ad un passato ideale. Le rivoluzioni del passato avevano sempre bisogno di richiamarsi ai miti della propria fondazione. Seguendo il pensiero di Portinaro, autore di “La teoria della rivoluzione tra ideologia e revisionismo” i nostri tempi appaiono profondamente lontani da tutto ciò “… come è diventato anacronistico il concetto di potere costituente, così suona oggi inattuale il richiamo alla progettazione ideale e utopica di soggettività forti”. Nei tempi attuali, sembra innegabile la fuoriuscita dal modello classico, ovvero la sparizione dell’elemento progettuale fortemente utopico presente invece nelle rivoluzioni del passato. In altri termini, sembra che siamo di fronte all’esaurimento di ogni capacità di integrazione e produzione di identità delle ideologie. Epoca di pensiero debole e di società liquida, tutta la nostra società sembra prendere le distanze dal pensiero forte. Forse perché, come sostiene Zizek, le nostre società attuali portano ancora i segni del trauma dei totalitarismi del secolo precedente. Ci troviamo cioè pienamente immersi nell’esperienza sociologica del disincanto. Uno dei più importanti filosofi contemporanei Sloterdijk si riferisce a qualcosa di simile con la sua teorizzazione del termine “schiuma”. L’autore della trilogia “Sfere” (di cui Schiuma è l’ultimo volume) ricorre a questa metafora per indicare l’esito della globalizzazione virtuale che ha portato a una crisi definitiva dello spazio. La schiuma è questo implodere ed esplodere di sfere pluralistiche che si intersecano, un agglomerato di bolle dove ogni punto è virtualmente il centro e dove ogni “cellula” costituisce quello che Sloterdijk chiama un luogo, un mondo, uno spazio sensoriale intimo, teso da risonanze diadiche e multipolari. “Non abbiamo più un posto saldo e sicuro sotto un cielo eterno e onnicomprensivo”. Certamente, parafando Goethe, non è più lo stesso cielo di Omero, di un padre antico ideale che si pone a garante del senso di realtà e dei valori che la determinano. E aggiungerei, manca quel vertice strutturante, quel “terzo” che la psicoanalisi chiama identificazione edipica matura o interiorizzazione della legge del padre. Se ogni rivoluzione opera un rovesciamento dell’ordine costituito e mostra quindi la sua tensione “anti-edipica” più estrema nel rovesciamento di tale legge, nello stesso tempo l’appello al passato e alla continuità con gli ideali dei padri tradisce il suo lato profondamente edipico, da intendersi in senso più ampio, come identificazione con le generazioni precedenti, con i progenitori, con gli antenati. Ogni spirito autenticamente rivoluzionario vuole riaffermare un senso di giustizia che sente essere già esistito una volta, in qualche tempo e in qualche luogo. I tempi attuali non sono certo meno violenti, meno produttori di enormi ingiustizie e disuguaglianze. Paragonati ai tempi della rivoluzione greca, prototipo dell’abbracciare le armi contro un nemico ben identificato, rivoluzione di sangue con necessità di violenza, i tempi attuali appaiono come violenza senza rivoluzione. La grande commozione e celebrazione in tutto il modo dell’Indipendenza greca (anche l’Italia ha illuminato il 25 marzo di quest’anno piazza del Campidoglio con i colori della bandiera greca) sembra dirci che ancora una volta questo piccolo paese sempre sofferente e sempre in crisi ha risvegliato le coscienze a dimostrazione di una vocazione universalistica che l’accompagna da sempre. Pongo un interrogativo finale tutto da esplorare. Siamo così sicuri che abitiamo davvero tempi schiumosi che non consentono identificazioni stabili e ideali (le sacre ossa dell’inno di Solomos)? È davvero così liquida la nostra società e il pensiero così debole? O forse questa schiumosità non è che l’aspetto visibile che nasconde e offusca delle potentissime ideologie sotterrane della nostra società? Chiediamoci, per ulteriori riflessioni, se esse non vadano rintracciate dietro i concetti di “nuda vita”, dietro le filosofie del “wellness o del giovanilismo a tutti i costi”, dietro la pretesa scientificità di ciò che scientifico non è, in ultima analisi, in tutto ciò che si pone come estremo baluardo contro la paura della morte.
Bibliografia
Condorcet N. (1793). Sur le sens du mot Revolutionnaire
Costant B. (1819). Discorso all’assemblea presso l’Athenee Royal
Portinaro P.P (1998). La teoria della rivoluzione tra ideologia e revisionismo. In La Collana degli Archivi di stato. Rivoluzioni. Una discussione di fine Novecento. A cura di D.L Caglioti e E.Francia.
Sloterdijk P. (2015). Sfere III. Schiume. Bonaiuti editore.
Zizek S. (2008). In difesa delle cause perse: Materiali per la rivoluzione globale. Formato Kindle