Sono passati 7 anni dall’approvazione della legge 81/2014, “Disposizioni urgenti in materia di Ospedali Psichiatrici Giudiziari”, una norma che, pur non avendo sciolto tutti i nodi giuridici alla base della cultura dell’OPG (alcuni dei quali richiedono la modifica del codice penale), ha il grande merito di avere spostato l’attenzione dalla tradizionale centralità delle strutture in cui possono essere rinchiuse le persone (ovvero i luoghi di internamento) ai percorsi di cura e riabilitazione necessari alla tutela della salute degli autori di reato affetti da patologia psichiatrica. Si è trattato di un passaggio fondamentale per la dignità delle persone internate: persone, in molti casi responsabili di reati minori, che invece di essere curate venivano trattate con misure di sicurezza che non facevano che peggiorare la loro condizione. Ma il processo di chiusura degli OPG (e della logica ad essi sottesa) non è soltanto un importante passo di civiltà: è anche un esempio (in parte ancora incompiuto) di come l’approvazione di una norma non sia sufficiente per garantirne una concreta e autentica applicazione su tutto il territorio nazionale, a garanzia dei diritti dei cittadini. La chiusura dei manicomi criminali ha fatto seguito al processo avviato con la legge 180/78 di chiusura dei manicomi civili e ha confermato l’impegno del nostro Paese contro tutte le istituzioni totali. Non va infatti dimenticato che le scelte assunte dall’Italia nel 1978 (per la deistituzionalizzazione, la chiusura degli ospedali psichiatrici e l’attivazione di una rete di servizi territoriali) sono considerate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità un punto di riferimento avanzato a livello internazionale ed espressione di una rivoluzione culturale e sociale che dovrebbe contaminare tutti i paesi. Eppure, nessuno meglio dell’Italia può testimoniare come percorsi di riforma cos. innovatori richiedano, nella loro attuazione, gradualità e costante impegno: trasformazioni profonde, rinnovamento nelle pratiche, contrasto delle chiusure mentali, governo degli interessi di parte, consapevolezza dei diritti e dei fondamenti etici dell’agire quotidiano sono tutti aspetti che difficilmente possono essere innescati solo dall’approvazione di una norma. Avviato con convinzione a livello centrale ma oggetto di scarsa attenzione da parte delle regioni (che hanno chiesto più volte la proroga delle scadenze), il percorso di superamento degli OPG si è sviluppato anche grazie alla disponibilità di fondi dedicati e alle spinte della società civile1. Ma il rischio di arretramenti, anche legati alle tante difficoltà che le amministrazioni pubbliche coinvolte hanno dovuto affrontare nel corso degli ultimi decenni, è sempre presente. Il percorso normativo inizia con il D. lgs. 230/1999 di riordino della medicina penitenziaria volto a garantire ai detenuti e agli internati un livello di tutela della salute pari a quello riconosciuto ai cittadini liberi e prosegue con il d.p.c.m. 1Åã aprile 2008 che dispone il trasferimento della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. Nel corso degli anni il processo si è avvantaggiato delle sentenze della Corte Costituzionale, in particolare la 253/2003 e la 367/2004, che hanno avuto il merito di scuotere il sistema, denunciando l’automatismo sanzionatorio per le persone con patologie mentali autori di reato. Il percorso trova poi forza nella denuncia della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta dall’on. Ignazio Marino2, che ha contribuito in modo determinante a far emergere pratiche gravi e lesive della dignità delle persone. Si arriva così all’approvazione della L. 9/2012 contenente precise disposizioni per il definitivo superamento degli Opg e la realizzazione di Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza (Rems). Sorge subito il timore che le Rems possano diventare piccoli OPG, sicuramente accoglienti ma non in grado di superare le contraddizioni e le inefficienze, sul piano terapeutico, di risocializzazione e riabilitazione, che hanno da sempre afflitto gli ospedali psichiatrici giudiziari. Timori ancora oggi all’attenzione di istituzioni e organizzazioni della società civile: la ingiustificata richiesta di moltiplicare il numero delle Rems e di aumentarne la capienza, per accogliere qualunque tipo di problematicità psichiatrica e sociale, “dimostra come la cultura manicomiale abbia ancora radici, che traggono alimento dalla permanenza del “doppio binario” e delle misure di sicurezza psichiatriche”3. Il percorso normativo si completa nel 2014 (L. 30 maggio 2014, n. 81) con l’approvazione di una legge che rende chiaro che gli Opg non sono sostituiti dalle Rems. La legge 81 fissa alcuni principi fondamentali: – la presa in carico della persona da parte dei servizi della salute mentale: la tutela del diritto alla salute di chi ha commesso reati in condizioni di infermità mentale si fonda sulla predisposizione di programmi individualizzati di cura e reinserimento sociale e sullo sviluppo di un‘efficace rete di servizi di salute mentale; – la Rems come soluzione di extrema ratio: le Rems devono essere una risposta eccezionale e residuale, cui si ricorre solo quando non è possibile la presa in carico della persona da parte dai servizi territoriali; – le Rems sono residenze a gestione sanitaria, per superare radicalmente logiche orientate a funzioni puramente securitarie che per loro natura non favoriscono la cura della malattia mentale; – la territorialità: la persona deve poter essere presa in carico nel luogo più vicino alla sua residenza, in particolare dai servizi sanitari della regione di provenienza; – il numero chiuso: è previsto un limite massimo di capienza delle Rems, al fine di evitare il progressivo ampliamento del numero di persone ospitate, a garanzia dell’assistenza loro dedicata; – il limite temporale alla durata della misura di sicurezza: le dimissioni a fine pena (ovvero per il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso) sono obbligatorie, per porre fine al cosiddetto fenomeno degli “ergastoli bianchi”; – il rifiuto di mezzi coercitivi, della contenzione meccanica e di ogni forma di segregazione; – l’accertamento della pericolosità sociale: una persona non può essere dichiarata pericolosa solo perché è emarginata, priva di sostegni economici o per sola mancanza di programmi terapeutici individuali. Alle Aziende sanitarie, alla Magistratura e ai Comuni è affidato un ruolo di estrema responsabilità per definire la condizione delle persone, organizzarne la presa in carico e garantire l’assistenza, fino al reinserimento sociale delle stesse. Un ruolo che i servizi per la salute mentale, la magistratura e gli enti locali faticano talvolta a svolgere in modo compiuto anche a causa delle tante difficoltà che le amministrazioni pubbliche hanno dovuto affrontare nel corso degli ultimi decenni. Difficoltà che non possono giustificare richieste di modifica delle norme che potrebbero far arretrare l’impianto delle innovazioni introdotte, che al contrario vanno implementate. Non si può ad esempio pensare di sanare l’inadeguatezza di alcune realtà territoriali rendendo possibile spostare tutti i malati di mente, compresi quelli dove il disturbo è ancora da accertare, nelle Rems. Vorrebbe dire ritornare al passato, mettere insieme prosciolti e detenuti, favorire coloro che simulano disturbi mentali, moltiplicare le strutture detentive dedicate solo ai malati di mente ripristinando la logica manicomiale e spendendo decine di milioni in operazioni immobiliari. Non è questo che la riforma ha chiesto di fare. Occorre invece che le istituzioni continuino a impegnarsi nell’attuazione della legge, affinchè tutto il lavoro fatto fino adesso dagli operatori e dai movimenti della società civile non vada sprecato. Come ogni processo complesso, anche quello di superamento degli OPG, va infatti monitorato nell’ottica di trovare le soluzioni migliori per le persone e per le comunità . importante porre estrema attenzione al fatto che vengano proposte alle persone prospettive di vita dignitose e venga garantita una presa in carico terapeutica nel momento in cui sono malati.
1 Si veda in particolare la campagna Stop Opg promossa nel 2011 da 25 associazioni “per non far cadere nell’oblio le condizioni
disumane” di chi ancora è recluso nei manicomi criminali. (www.stopopg.it);
2 Si veda in particolare la campagna Stop Opg promossa nel 2011 da 25 associazioni “per non far cadere nell’oblio le condizioni
disumane” di chi ancora è recluso nei manicomi criminali. (www.stopopg.it);
3 Grazia Zuffa, “Folli rei”, è ora di abolire la giustizia speciale, Il Manifesto 2 febbraio 2021.